Nulla è in regalo

Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.

E’ così che è stabilito,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.

E’ troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.

Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l’obbligo
di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.

Nella colonna Dare
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.

L’inventario è preciso,
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.

Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso che aprissero
questo conto a mio nome.

La protesta contro di esso
noi la chiamiamo anima.
E questa è l’unica voce
che manchi nell’inventario.

W. Szymborska, Vista con granello di sabbia, Adelphi, 235 p., 18 euro

gli ultimi giorni di Tolstoj

Lev Tolstoj

Più di 240 pagine sulla morte di Lev Nikolaevič Tolstoj e nemmeno un attimo di noia.
Tolstoj è morto di Vladimir Pozner, pubblicato nel 1935 e ora riscoperto e tradotto da Adelphi, è un piacevolissimo romanzo-documentario.
Come un bravo storico, davvero in grado di “far parlare le carte”, Pozner si serve di eterogeneo materiale d’epoca (in buona parte ancora inedito negli anni ’30) per ricostruire gli ultimi giorni di vita del grande scrittore russo.

L’ossatura del libro è costituita da telegrammi e dispacci, documenti in genere privi di charme, che diventano testimonianze vivide di fatti e sentimenti del tempo grazie all’intelligente selezione che ne fa l’autore, che li completa con spiegazioni perspicaci ed essenziali e li integra con articoli di giornale e stralci di lettere e diari della famiglia Tolstoj.
Lo stile è cinematografico, con un montaggio che non perde mai il ritmo, e la mano sapiente di Pozner sa quando è il caso di attenersi alla semplice narrazione degli eventi e quando indugiare su un filo di fumo, un’espressione corrucciata o smarrita, un pensiero nascosto che qualche svogliata parola o un’azione meccanica riescono a rivelare.

Questi i fatti: il grande vecchio sempre più in rotta con la moglie Sof’ja Andreevna decide di scappare dalla tenuta avita di Jasnaja Poljana insieme alla figlia Aleksandra e al collaboratore Vladimir Chertkov, però si sente male durante un viaggio in treno ed è costretto a fermarsi nella stazione di Astapovo, un minuscolo puntolino sulla carta geografica di tutte le Russie.

Mentre Tolstoj giace nella casetta che il capostazione di Astapovo mette immediatamente a disposizione del Maestro, intorno al suo letto di morte si scatena una sarabanda famigliare, politica e mediatica di ingenti proporzioni.
Una sarabanda scandita dal ticchettio ininterrotto del telegrafo, il più veloce strumento di comunicazione disponibile nel 1910.
I giornalisti che affluiscono rapidamente dai giornali e dalle agenzia di Mosca e San Pietroburgo o dai giornali di ambiziose cittadine di provincia, gli ufficiali incaricati di mantenere l’ordine pubblico, i monaci inviati per strappare al malato un pentimento in articulo mortis, gli stessi famigliari e amici dello scrittore e non pochi sconosciuti accorsi per partecipare all’evento, congestionerenno le linee del telegrafo e spenderanno in pochi giorni una fortuna per raccontare cosa succede nella modesta casa del capostazione di Astapovo.

Con ironia Pozner descrive gli sforzi per garantire la copertura mediatica della morte di Tolstoj, come un vero preludio del moderno star system con tanto di cineoperatore inviato dalla Francia dalla ditta Pathé Frères.
Con sarcasmo mette in risalto l’ottusità delle autorità politiche e l’ipocrisia delle gerarchie ecclesiastiche.
Con affettuosa partecipazione narra il dolore e la commozione delle persone vicine a Tolstoj e della gente comune che, pur non avendo letto i suoi libri, sa che lo scrittore sta dalla parte del popolo e gli rende omaggio con grande amore.

In questo dramma a Sof’ja Andreevna Tolstaja, compagna dello scrittore per quasi cinquant’anni, spetta la parte della moglie bisbetica, causa della fuga di un marito anziano e stanco di liti e discussioni. Un marito che le sarà impedito di rivedere fino alle ultime ore di agonia.

Citando il celeberrimo incipit di Anna Karenina: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo» e senza aggiungere sue osservazioni  ai brani di lettere e diari che riporta, Pozner cerca di decifrare la vita matrimoniale dei coniugi Tolstoj. Operazione che ha solleticato molti scrittori.

Io, per solidarietà femminile, cito la lettura di Doris Lessing che ha messo sotto accusa il Maestro, tacciandolo di essere un marito insopportabile.
Senz’altro Pozner cerca di mantenersi imparziale nella guerra tra i due, suggerendo al lettore l’idea che le incomprensioni tra Levocka e Sonja (i diminutivi affettuosi della coppia) fossero inevitabili a causa delle aspettative reciproche, frustrate nel corso degli anni. L’educazione e la cultura di Sof’ja e le sue preoccupazioni per i figli e per le contingenze della vita quotidiana erano davvero inconciliabili con la filosofia di vita che Tolstoj aveva maturato e che cercava non senza fatica e sofferenze di applicare concretamente.

Tolstoj è morto, e dunque viva Tolstoj. E a me non resta che mettermi a cercare in una libreria troppo disordinata l’edizione di Anna Karenina comprata da mia madre quando era ragazza e che io ho letto in troppo giovane età.

V. Pozner, Tolstoj è morto, Adelphi, 274 p., 18 euro

senza Saramago

José Saramago

Che dolore! Sapevo che il momento sarebbe arrivato prima o poi, e non pensavo che mi avrebbe toccato così tanto.

Agli occhi del mio collega che mi ha vista piangere per la morte di José Saramago  il mio dolore è parso incomprensibile, anche se rispettabile.

Difficile spiegare a un non lettore cosa si prova alla notizia della morte di uno scrittore che con le sue parole ha cambiato la tua vita.
Non solo per le emozioni, gli insegnamenti, le idee su cui riflettere e i mondi interi da abitare che ho trovato nei suoi romanzi. Ma perchè i libri di Saramago, come oggetti e come storie da raccontare hanno intrecciato e intessuto momenti belli e brutti della mia vita, sono stati pegni d’amore o d’amicizia, argomenti di infinite conversazioni, scoperte da condividere con persone vicine e meno vicine.

In una mattina assolata, ormai lontana, raccontare la storia dell’amore di Blimunda e Baltasar a una persona che mi stava per lasciare mi è servito a riconquistarla.
E mi ha commosso oggi scoprire, leggendo il necrologio del “Mundo”, che Memoriale del convento è stato anche l’inizio dell’amore tra Saramago e sua moglie Pilar, per lui indispensabile come l’acqua.

Il Vangelo secondo Gesù Cristo, che ho costretto mio padre a leggere, ha acceso in lui entusiasmo, curiosità e domande che l’hanno accompagnato fino alla fine della sua vita.

E mi piace ascoltare l’uomo che amo quando continua a interrogarsi sulle infinite possibilità inesplorate delle vicende di Cecità e di Saggio sulla lucidità.

Come hanno scritto Umberto Eco e Manuel Rivas, persino lo schizzinosissimo Harold Bloom ha detto di Saramago «il romanziere maggiormente dotato di talento ancora in vita… uno degli ultimi titani di un genere letterario in via di estinzione».
L’ho sempre pensata esattamente come Bloom.
Mi sembra che nel panorama letterario mondiale non ci sia davvero nessuno che affronta interrogativi così fondamentali e vitali per l’umanità usando lo strumento letterario del romanzo con la stessa forza espressiva e la stessa capacità di invenzione.

Forse Saramago è stato l’ultimo erede di Melville e Dostoevskij, di Tolstoj e Cervantes. Di tutti i grandi romanzieri che hanno davvero cambiato il loro tempo per come hanno saputo raccontarlo e definirlo.
Nonostante il riconoscimento del Nobel, spesso ho pensato che Saramago non sia stato ascoltato come avrebbe meritato.
Troppo poveri in spirito la nostra società e il nostro tempo per interrogarsi sul significato di Cecità o de La caverna e su quanto di rivoluzionario possa esserci in Saggio sulla lucidità.

Mi è capitato recentemente di vedere un’intervista di Serena Dandini a José Saramago, fatta in occasione dell’uscita in Italia del suo libro Il Quaderno, e un’affermazione dello scrittore mi ha colpito e rallegrato. “Più vecchio si diventa, più libero si diventa, più radicale si diventa”. Con buona pace di chi pensa che invecchiando si diventi saggi e si scenda a compromessi con la realtà che ci circonda. Saramago è stato un fulgido esempio di come il tempo non riesca a offuscare le idee per le quali si è vissuto e combattuto e di come sia possibile giorno dopo giorno riaffermare la propria libertà individuale.

Senza la sua coscienza critica, la sua voce ferma e la sua bella vecchiaia, più rivoluzionaria di tante giovinezze e così feconda per il lavoro letterario, mi sento oggi un po’ più sola e un po’ più smarrita nell’affrontare questo mondo e questo tempo.

Saramago era nato nel 1922, aveva l’età di mio nonno, ha vissuto praticamente tutto il “Secolo Breve” e ne è stato, sia dal punto di vista politico che da quello letterario, un figlio.
Con lui finisce una certa idea di romanzo che è stata sperimentata nel corso di tutto il Novecento con risultati spesso eccellenti. Spero davvero che la sua eredità venga raccolta nel secolo appena iniziato.